Racconto di un sogno divenuto incubo
L'aereo stava già rollando sulla pista mentre il Presidente e il codazzo istituzionale che lo segue ovunque salivano rapidamente la scaletta per far ritorno nella capitale. Il Presidente, volto un po' scuro, si tolse il cappotto e si sedette allacciando le cinture. Davanti un tavolo scrivania mentre di fronte il ministro Tremonti, ancora in piedi, vi poggiava una grossa borsa apprestandosi a sedere anche lui. Cinque minuti e l'aereo era già in volo per Roma.
“Che ne dici, ce l'abbiamo fatta? Se ti fossi spremuto ancora un po', caro Giulio, potevamo dormire sonni tranquilli”.
“Penso che abbiamo fatto tutto il possibile. Per stare tranquilli con l'Europa avremmo dovuto scarnificare gli italiani fino all'osso e tu sai, caro Presidente, che alle prossime elezioni te l'avrebbero fatta pagare. E poi con la Lega come la metti? Lo sai che con le pensioni abbiamo la porta sbarrata”.
“Avremmo potuto istituire questa maledetta patrimoniale, ma avrei scontentato tanti elettori senza ottenere risultati. Avrei dato soddisfazione a quel comunistaccio trasformista e ancor di più a quell'analfabeta con la laurea comprata”.
“Bersani e Di Pietro? Quelli saranno soddisfatti solo se ti dimetti, caro Silvio. L'unico che potrebbe esserti vicino, sempre dopo le dimissioni, è Ferdy. Lo sai che in cuor suo ti vuol bene e ti ammira, però – diciamo così – quello che ha combinato i veri casini sei stato tu. Comunque, tornando alla manovra, mi sembra sia stata accolta bene, anche se la culona – come tu la chiami – mi ha accennato che sarebbe stato meglio essere più incisivi”.
“L'ha detto a te mentre a me faceva dei gran sorrisi di assenso? Non dirmi che hai parlato anche con Napoleone; quel bastardo ungarico non l'ho neanche salutato, e comunque lui non sta meglio di noi con la sua grandeur; se quel sorriso beffardo che ha fatto alla Merkel l'avesse fatto qualche mese fa, i suoi bombardieri per la Libia sarebbero partiti dalla Francia”.
Qui ci vuole Benaltro...
A Bruxelles, mentre gli altri 24 capi di governo si affrettano per ritornare nelle rispettive nazioni, i Merkozì temporeggiano, in disparte, passeggiando lentamente.
“Niko, che ne pensi del piano di rientro italiano?” domanda la Merkel.
“Cara Angelà, questi vanno tanto fieri del made in Italy, ma questo piano è una bufala, lo trovo troppo elusivo. E' solo una lettera di intenti in risposta al nostro ultimatum. Le solite promesse. Per Barroso va tutto bene, ma a me Bunga-bunga non mi convince, qui ci vuole Benaltro per non far fallire l'Italia, che trascinerebbe anche noi nel default generale dell'euro, altro che Grecia. Io ho già i miei problemi a casa mia, non vorrei che il nostro amico ci trascinasse a fondo”.
“Anch'io devo affrontare i miei cani in Parlamento e mi stanno già facendo a pezzi, hai visto le elezioni amministrative, no? Se continua così divento minoranza. Vogliamo telefonare al Vecchio?”.
“Cosa vuoi che ci dica?”.
“Non ci deve dire niente, caro Niko, deve fare. In Italia oggi è l'unico affidabile, gira tra la gente ed è sempre applaudito per le sue parole sagge, ma ti ricordi da dove viene? Il lupo perde il pelo ma non il vizio. Nella loro dottrina le elezioni sono un optional e penso che non veda l'ora di disfarsi del fighetto. Perché domani non provi a fargli una telefonata? Il tedesco è lingua dura mentre la tua è più dolce e suadente. Vedrai che con lui potremmo sistemare tutto”.
Sempre caro mi fu quest'ermo Colle...
“Signor Presidente, il Presidente Sarkozy al telefono”.
“Bonjour, monsieur Sarkozy”.
“Bonjour, monsieur George”.
“Il nostro amico Silvio ha fatto qualche marachella ieri o ha raccontato barzellette sporche?”.
“No, no monsieur George, si tratta di Benaltro”.
“Benaltro?”.
“Oui, monsieur George, ieri Berlusconì, insieme a Tremonti, ha presentato il piano di riforme per il rientro del debito. Con Angelà abbiamo esaminato attentamente il documento e abbiamo convenuto che è insufficiente a chiudere la voragine creata in quaranta anni. Voi avete bisogno di Benaltro, monsieur George, per sistemare i conti dell'Italia. Moi et Angelà confidiamo in lei, che ne ha facoltà e possibilità, per trovare una soluzione alternativa alla crisi politica italiana”.
“Ma io, veramente, non ho, come Lei, questi poteri. Noi non abbiamo una repubblica presidenziale come in Francia”.
“Ahahah... Lei è molto modesto, monsieur George, noi sappiamo che se vuole può fare tutto, ha anche molti estimatori in Parlamento e vecchi amici di merende che potranno aiutarLa. Moi et Angelà confidiamo in Lei. A presto, monsieur George”.
Benaltro, chi era costui?
“Benaltro... Benaltro... Io non lo conosco... o forse l'età mi fa brutti scherzi. Pronto Pierluigi? Scusami, non ti sento bene... ah, stai alla manifestazione? bene, bene... senti un po', conosci per caso un certo Benaltro? … No, il nome non lo so... Ma è la solita manifestazione per le dimissioni di Berlusconi?... bene, bene... c'è anche Fini? … digli di non esagerare, non posso stare zitto in eterno... Sì, Benaltro... me lo ha suggerito il collega francese. Insieme alla Merkel si stanno intromettendo nei nostri affari interni, e questo mi scoccia un po'... non posso risponder male... non vorrei si offendessero... vedrebbero bene al governo questo Benaltro, ma tu lo conosci? Senti tra gli amici, non vorrei passare dalla padella alla brace”.
“Giorgio, sono Pigi, posso assicurarti che questo Benaltro non lo conosce nessuno, ho chiesto anche alla Bindi e a Franceschini, tante volte, sai... di quelli non c'è mai da fidarsi, vengono dalla DC... Un amico ne ha parlato in privato anche a Casini: niente. Ma poi senti un po' Giorgio, perché dobbiamo farci imporre 'sto Benaltro da questi due ducetti? Stanno comandando tutta l'Europa con la bacchetta. Si salva solo la vecchia Elisabetta. Noi avevamo deciso di mettere Monti al posto del Berlusca, e tu eri d'accordo, ricordi? E allora facciamo vedere ai galletti teutonici che siamo ancora un popolo sovrano. Noi ti spianiamo la strada in Parlamento e tu nel frattempo avvisi Monti. Ti assicuro che in quindici giorni, tra Camusso black blok indignati e disperati e qualche deputato ricomprato, ci togliamo dalle palle il cavaliere e pure questo Benaltro, senza bisogno di andare alle elezioni. Ritorniamo al timone senza neanche un morto”.
12 novembre 2011: Silvio Berlusconi rimette il suo mandato nelle mani del Capo dello Stato.
16 novembre 2011: Il Capo dello Stato nomina Mario Monti Presidente del Consiglio al posto del dimissionario Silvio Berlusconi.
Tiè, Sarkò!... alla faccia di Benaltro!
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