domenica 29 giugno 2014

Italia a brandelli… vi aspettavate di più?...

Adesso che il colore rosso della vergogna va dipanandosi schiarendosi sempre di più, possiamo anche parlarne. Mezz’ora prima che l’Uruguay segnasse, avevo già litigato con Renata la polacca, mia compagna nella vita. Avevamo litigato di brutto perché lei aveva già sentenziato che avremmo perso e tornavamo a casa. Quando fa così io generalmente la chiamo Cassandra, portatrice di jella e di sventura, e tutto finisce lì. Ma stavolta mi aveva fatto incazzare di brutto e glie ne ho dette di tutti i colori, mentre lei mi rispondeva per le rime. Il seguito lo sappiamo tutti e non ci parlammo per tutta la sera e il giorno seguente.
A microfoni e luci spente, come suol dirsi, gli animi si raffreddano, i rancori si allontanano e il cervello inizia a ragionare. Per cui oggi le riconosco quella ragione che mi fece imbestialire martedì scorso durante la partita. Riconosco, anzi, che il torto era solo mio, perché vedevo la nostra Nazionale con il cuore, disinteressandomi del resto. Lei, invece, che nei riguardi dell’Italia è molto più obiettiva e razionale di me, aveva già capito e sapeva che non potevamo che perdere. L’avevo capito anch’io, ma lo nascondevo a me stesso e vivevo nella speranza che un miracolo potesse ricreare l’atmosfera dell’82, quando – contro ogni pronostico – stravincemmo i Mondiali. E solo il sentire quello che temevo mi fece imbestialire.
Adesso, con i piedi ben posati per terra, mi domando: Perché prendersela tanto per una eliminazione che non fa altro che rispecchiare le condizioni in cui ci troviamo da sei anni? Ricordate l’altra umiliante eliminazione del 2010 in Sud Africa? Quella era solo l’inizio, perché dopo quattro anni gli eventi, invece di migliorare, sono precipitati. Ancora più inutile è dare la colpa a Balotelli o Cassano, a Prandelli o a chiunque altro, significherebbe voler chiudere gli occhi per non vedere la verità. Questi personaggi potrebbero essere i singoli, ma i singoli non fanno gruppo e a noi manca proprio questo: il gruppo. Il gruppo vuol dire l’unione che fa la forza, vuol dire socialità, solidarietà, aiuto reciproco. Qualcuno può affermare che oggi in Italia esiste qualcosa che gli assomigli? Si dice che il pesce puzza dalla testa e io di puzza ne sento tanta, cominciando proprio dalle più alte cariche dello Stato e delle istituzioni per continuare con i politici, la finanza, le banche, l’industria… Non esiste l’uno per tutti e tutti per uno che ogni popolo adotta nei momenti difficili, siamo italiani e usiamo l’ognuno per sé e il si salvi chi può. Masochismo.
Fatto fuori Berlusconi nel 2011, sembrava che l’Italia dovesse risorgere il giorno dopo con Monti e la Fornero, che invece hanno lasciato un Paese ancora più indebitato e devastato, e quello era il governo dei professori e dei cervelloni! Da una vita sentiamo parlare solo di riforme che non si fanno mai perché ai nostri politici non interessa farle, nel fango in cui stiamo i porci si ingrassano e noi continuiamo a sovvenzionarli. Mi correggo: una sola riforma è stata fatta, quella delle pensioni, e ha rovinato milioni di famiglie, mentre chi prendeva 90 mila euro al mese continua beatamente a prenderle. Dopo Monti e Letta e adesso abbiamo Renzi, entrato prepotentemente a governare con fama di rottamatore. Nessuno di questi è mai stato eletto a governarci, eppure eccoli lì a farla da padroni senza la minima delega popolare. Stanno rottamando l’Italia e nessuno si alza a protestare e gridare “Vergogna!!” e ci lamentiamo e riempiamo pagine di giornali e telegiornali perché non abbiamo superato il primo turno ai Mondiali? Ma se è questa l’Italia che vogliamo e questo lo Stato che continuiamo a mantenere, allora io grido forte, a squarciagola: Viva questa Nazionale!! Viva Balotelli!! Viva Prandelli!! Ogni popolo ha la Nazionale che si merita…



venerdì 13 giugno 2014

Bilancio di otto anni di Bulgaria seconda patria

Il 13 giugno è sempre stato, nella mia vita, un giorno particolare, una data che rimane impressa nel tempo. Mi chiamo Antonio e si potrebbe pensare al mio giorno onomastico, perché oggi si festeggia S. Antonio da Padova, ma non è così perché – pur accettando gli auguri di tanti amici – tengo sempre a precisare che io festeggio S. Antonio Abate, che cade il 17 gennaio, il santo protettore degli animali ma anche patrono di Burgio, la mia città natale (a dire il vero chiamare Burgio città è un po’ esagerato perché è solo un piccolo paesino della Sicilia, ma oggi sembra si debbano chiamare città anche i villaggi, per darsi più importanza). A parte questo piccolo inciso, il 13 giugno del 1956 è stato il primo giorno lavorativo della mia vita, quando – cacciato via dal collegio – mi ritrovai improvvisamente e provvidamente, a 15 anni ancora da compiere, a guadagnarmi da vivere, in una città chiamata Roma, con un orario fuori dagli schemi sindacali: 12 ore di notte, dalle 19 di sera alle 7 della mattina, ma viaggiando in autobus quotidianamente per andare a Nettuno, praticamente i miei dormitori per sei mesi, dove abitavano i miei parenti più prossimi. Per Nettuno, infatti, mi avevano fatto il biglietto i responsabili del collegio, dove avevo gli zii, che erano anche i parenti più prossimi. Poi decisi di trasferirmi a Roma.
Esattamente 50 anni dopo, il 13 giugno del 2006, lasciandomi dietro le storie di una vita fatta di lavoro, di amori e di affetti, di vittorie e sconfitte, di gioie e dolori, iniziava per me una vita nuova, vita da pensionato, che avrei vissuto in un Paese ancora sconosciuto, ma nel quale ero fermamente convinto di restare per il resto dei miei giorni. E così oggi sono già trascorsi otto anni, e come in ogni anniversario che si rispetti, mi ritrovo a fare un bilancio e un veloce ripasso di questo periodo che potrebbe sembrare breve quando si hanno venti o trent’anni ma che diventa lunghissimo quando l’età incalza e si vive nell’incerta sorte che il Padreterno giornalmente ci elargisce.
Ricordo i pensieri confusi che vorticavano nel mio cervello quando finalmente dall’Italia raggiungemmo Mokrishte, piccolo paesino confinante con Pazardjik. L’unico conforto l’accoglienza festosa dei genitori di Stoyan e i sorrisi dei vicini, curiosi di vedere un italiano trasferirsi armi e bagagli in uno sperduto villaggio della Bulgaria, loro abituati ad emigrare per poter sfamare la famiglia. Poi il giorno dopo conoscere Pazardjik, città provincia di circa 75.000 abitanti, tranquilla e quasi sonnolenta, città ideale per me che mi trascinavo lo stress di una vita romana diventata insopportabile, ma che si presentava al turista o al nuovo arrivato in una continua alternanza di vecchio e nuovo, come reduce da un bombardamento e relativa rapida ricostruzione. Ecco, così mi si è presentata la prima volta Pazardjik. Ma passati i primi giorni, legati ancora ai ricordi di una Roma difficile da dimenticare, ho cominciato ad apprezzare tutto quello che mi girava intorno, soprattutto la serenità e il sorriso di gente che possedeva solo quello. E l’alternarsi di caffè alla moda luccicanti di stigliature e morbide poltrone ove consumare lentamente un caffè, con carretti trainati da cavalli, condotti da zingari sporchi e scuri, seguiti da luccicanti Suv ed eleganti e costose automobili a far da contrappeso a una fila di capre che un vecchietto riportava a casa dal pascolo, mi dava la sensazione strana di tornare indietro nel tempo con improvvisi riverberi di realtà.
Il 2007 è stato l’anno della svolta per Pazardjik e per l’intera Bulgaria. L’ingresso nell’Unione Europea è stata la pietra miliare di un percorso che la Bulgaria si apprestava a percorrere insieme a me. Da quell’anno molte cose sono cambiate e gli aiuti europei hanno dato e stanno dando la spinta decisiva all’ingresso nel consumismo e una svolta anche nel modo di pensare e operare dei bulgari. Tutto questo non mi consola, perché dovrei imbattermi in tutto ciò che di negativo ho lasciato in Italia, ma penso che non ne avrò il tempo, perché quando succederà avrò lasciato il mio posto ad altri. Nel frattempo godo di quello che di buono in questi anni si è fatto e si continua a fare per migliorare la città e le condizioni di vita dei suoi abitanti. Mi accorgo che in otto anni la città è stata trasformata, grazie all’Europa e alla buona amministrazione del sindaco Popov, e in chiunque la visita lascia la piacevole sensazione di una città a misura d’uomo, vivibile e soprattutto luogo ideale per viverci. Stiamo cambiando anche noi italiani, perché da tanti piccoli segnali, mi accorgo che ci stiamo lentamente bulgarizzando, si fanno nuove conoscenze e nuove amicizie, la lingua, pur ostica, inizia a diventare più familiare, iniziamo a vedere intorno a noi dei concittadini e si allontana l’autoemarginazione che nasce dalla paura dell’ignoto.
Dall’ottobre del 2013, poi, alcuni servizi Rai e Mediaset sui pensionati italiani in Bulgaria, hanno fatto esplodere il fenomeno, per cui ci troviamo al centro dell’attenzione dei media, in Italia, per una esplorazione prima seguita da un possibile trasferimento subito dopo, di molti pensionati che in Italia vanno sempre più alla deriva. Per questo motivo è cambiata, inconsapevolmente, anche la mia vita, perché quelle che erano le mie giornate quasi languide, passate tra computer, televisione e qualche passeggiata, sono improvvisamente diventate iperattive, trovandomi costretto caratterialmente a rispondere a una valanga di e-mail di connazionali disperati che vorrebbero partire il giorno dopo, guidare e far da cicerone informatore per quelli che fisicamente si presentano e vogliono sapere, vedere, conoscere…com’è la sanità bulgara, quanto è il costo della vita, se la pensione la possiamo riscuotere qui, se si può cambiare la patente, se è vero che qui possiamo riscuotere la pensione lorda, se possiamo targare in Bulgaria l’automobile, se abbiamo un Patronato… mille domande alle quali spesso non si possono dare mille risposte, perché le informazioni che abbiamo le abbiamo apprese anche noi nel tempo nei vari forum su internet, perché le istituzioni invece di aiutarti, ricopiano anche qui quello che succede in Italia, e cioè ti mettono tanti paletti da farti fare il percorso ad ostacoli, rasentando talora il sadismo…
Oggi siamo molti di più di otto anni fa, quando mi sentivo veramente un esule, e tanti altri stanno arrivando, traendo beneficio dalle nostre esperienze… Se devo tirare le somme, posso dire che il bilancio è nettamente positivo, così che chiunque mi scrive e mostra l’intenzione di volersi trasferire qui, non posso che consigliarlo di osare il grande passo, penso ne valga la pena…