mercoledì 12 giugno 2019

I miei primi tredici anni a Pazardjik

Se penso che sono già trascorsi 13 anni mi viene la pelle d’oca, perché alla fine il tempo scorre veloce e ce ne accorgiamo soltanto se ci fermiamo un attimo a riflettere. I cambiamenti che prima avvenivano in un secolo oggi li vediamo dopo pochi anni, e Pazardjik, da allora, è cambiata molto. Ricordo di aver avuto l’impressione di essere arrivato in una città bombardata, quel terzo mondo che si descrive spesso sui giornali, ma che io mi apprestavo a vivere quotidianamente da quel 12 giugno 2006. 

Il nostro Console mi diceva un giorno che io ero il primo o il secondo pensionato sbarcato in Bulgaria, il primo di certo a Pazardjik. Si potrebbe pensare che al primo impatto sia rimasto male facendo il confronto Roma-Pazardjik, invece per me è stato amore a prima vista, sì proprio così, un amore che tuttora continua perché sono tredici anni che non ho più mal di testa, tredici anni che dal postino ricevo solo lettere o cartoline, tredici anni di vita serena. Ho dimenticato Roma? No, Roma è una città che tengo stretta in fondo al cuore, perché lì ho lasciato gli affetti più cari nella vita, i ricordi più belli e quelli più dolorosi. Roma è sempre Roma, ma quella meravigliosa dove sono cresciuto negli anni giovanili, non quella che ho vissuto fino al 2006 e ancor meno oggi. 

Quella Pazardjik di tredici anni fa è diventata oggi una città un po’ più rumorosa quanto basta, crescono nuovi edifici, si cerca di porre rimedio all’orribile architettura comunista, si rimettono a posto strade e strutture sanitarie, si continua a curare il verde, si cerca di entrare nel circuito europeo, ma rimangono sempre innumerevoli problemi che soltanto con gli anni si possono risolvere. Il costo della vita, pur con aumenti comunque fisiologici, è per noi più che accettabile. Resta sempre la cordialità della gente e il loro sorriso anche quando questo sorriso dovrebbe essere più che amaro. Cosa si può pretendere di più? 

Come ciliegina sulla torta, è diventata residenza stabile di molti pensionati italiani che, in massima parte, ho contribuito io a dirottare in questa piccola città, tutti ben felici di risiedervi perché qui possiamo ancora trascorrere una vecchiaia tranquilla. Come numero siamo una comunità abbastanza numerosa, tra città e dintorni, ma come succede in tutte le cose italiane, non siamo mai riusciti a organizzarci in associazione, perché anche qui si trasferiscono tutti i nostri pregi e i nostri difetti, con il risultato che tutto giace. I connazionali non me ne vogliano se anche in questa piccola Italia c’è qualche mela marcia, che generalmente si conosce dopo, ma in ogni caso marcisce da sola senza contaminare le altre. 

Grande soddisfazione è stata poi l’apertura, quattro anni fa, del Patronato Enasc, che è l’unico Patronato esistente in Bulgaria per i rapporti tra pensionati e Inps. Ma questa sede è diventata, inconsapevolmente, luogo di aggregazione e di incontro per i connazionali di Pazardjik e dintorni, e di conoscenza di tanti altri che vengono a trovarci per pratiche burocratiche da tutta la Bulgaria. E’ anche occasione di incontro e di fraternizzazione tra noi e tantissimi bulgari e bulgare che hanno lavorato in Italia e anche loro sono soggetti alla scure dell’Inps. 

Senza dimenticare che a Pazardjik ha sede Ecovita ed Ecoterra che rappresentano Rigoni di Asiago con le sue meravigliose confetture, Mares che è il tutto per i subacquei, Outlet che è il primo grande magazzino di vendita al dettaglio e all’ingrosso di prodotti alimentari e non, esclusivamente italiani, aperto da poco anche a Sofia. E poi, dopo tanti anni di tentativi mal riusciti, finalmente anche qui abbiamo un ristorante italiano, il Dea di Roma, che può farci gustare, quando ne abbiamo voglia, la vera cucina italiana, augurandoci che continui sempre così. 

Sto pensando al mio futuro… nel titolo dell’articolo ho detto “i miei primi 13 anni a Pazardjik”. Era solo una battuta, alla mia età difficilmente potrò vedere i miei secondi 13 anni, ma accetterò di buon grado quanto il Padreterno ancora mi vorrà concedere, ricordando con gratitudine gli anni di serenità (e anche di dolore, purtroppo, perché fa parte della vita) che la Bulgaria mi ha dato.

venerdì 31 maggio 2019

Bulgaria: da qui all'eternità



Sotto il titolo del mio blog Italia-Bulgaria solo andata, c’è un sottotitolo - nel giornalismo chiamato catenaccio - che dice “Pensieri e riflessioni in libertà sull’Italia che ho lasciato e sulla Bulgaria che mi ospita”. Oggi mi sono affiorati questi pensieri e riflessioni in libertà, a dire il vero non proprio piacevoli ma realistici, e ho deciso di esplicarli e rendervene partecipi perché, purtroppo, fanno anch’essi parte della nostra vita. Una signora bulgara, infatti, mi ha telefonato dicendomi che il marito, un pensionato italiano nostro assistito, è deceduto, per cui chiedeva lumi su cosa fare per richiedere la pensione di reversibilità. E’ la legge dei grandi numeri. Nel 2006 queste erano notizie rare, ma gradatamente negli anni sono divenute sempre più frequenti. 

Quando sono arrivato in Bulgaria, a 65 anni, ero gasato all’ennesima potenza, sia per le forze che allora mi sorreggevano che per la scoperta di quello che mi è sembrato un nuovo mondo, un mondo che per me – così come per tanti altri pensionati – è stato un’àncora di salvezza. Ma gli anni passano, e quando si è anziani sembra che trascorrano doppi, per cui sempre più spesso, nella nostra mente, si appalesa un futuro ansiogeno ed incerto. Incertezza non economica, perché fortunatamente in Bulgaria si è molto attenuata, ma incertezza della vita. 

Purtroppo, a questa nostra condizione non possiamo sottrarci, e anche se non lo diciamo apertamente, in cuor nostro pensiamo spesso a quando arriverà la nostra ora. E’ l’epilogo della commedia umana, tanto naturale quanto ineludibile: si nasce per morire, nulla è eterno. Le statistiche dicono che il ciclo della nostra vita si è allungato, ma noi siamo arrivati qui già in terza età o quasi. Quando dico noi mi riferisco, naturalmente, ai pensionati. Qualcuno di voi in questo momento avrà portato le mani tra le gambe, mentre la mia mano destra tira fuori indice e mignolo... 

E rifletto su quanto l’umanità faccia – durante questo viaggio terreno – per emergere, per arricchirsi, per migliorare, per sopravvivere o sopraffare e quanto altri debbano soffrire per colpa di quest’ultima, per poi ritrovarsi insieme, quando la vita ci lascia, sotto due metri di terra. Una volta passati nell’aldilà quanto contiamo ancora? Chi si ricorderà, dopo qualche anno – per non dire di meno – di noi? Voglio essere benevolo e dire i nostri figli, la nostra compagna, qualche altro parente o qualche amico, ma poi finisce lì. Oppure, talora, esce fuori un amico che dice: ti ricordi di…? Che tempi! 

Arriveranno gli anniversari a risvegliare il ricordo, sempre se chi resta se ne ricorderà. Esistono sempre le eccezioni, naturalmente, perché ci sono persone che per meriti scientifici, artistici, sociali, morali, culturali o criminali e via dicendo passeranno alla storia, ma il 99,9 per cento di noi finirà nel dimenticatoio. 

Alle ricorrenze ci vengono in aiuto, oggi, i social network, rammentando agli iscritti gli onomastici, i compleanni, gli eventi e tutto quanto concerne il nostro quotidiano. Per cui chi, per esempio, è su Facebook, ha la certezza che la sua persona sarà ricordata agli altri amici, reali e virtuali, in occasione del compleanno o di altri eventi particolari. Per completare il servizio bisognerebbe consigliare a Facebook di escogitare il modo per ricordare a questi ultimi la data dell’amico che ci ha lasciati. Così facendo automatizziamo la nascita, il corso della vita e la morte. La tecnologia, in un mondo che corre all’impazzata, forse per un attimo riuscirebbe a frenare le nostre corse aiutandoci a ricordare un amico, un parente, una persona cara che ci ha preceduto. 

Perdonate l’argomento abbastanza triste, ma quando, sempre più spesso, si ha notizia di connazionali che lasciano questa vita terrena, viene spontaneo pensare che noi siamo ancora dei fortunati. Amen. 













sabato 11 maggio 2019

Incentivo al non-voto per le Elezioni Europee


Stanno arrivando i certificati per le prossime elezioni dei membri del Parlamento Europeo. A me e ad altri connazionali a Pazardjik è arrivato ieri. Il volume della busta mi ha lasciato molto perplesso per la sua esiguità. In occasione di altre elezioni è sempre arrivato un bustone con la scheda e i candidati e l’altra busta già affrancata dove mettere la scheda e spedire alla nostra Ambasciata a Sofia. In questa occasione, invece, la lettera/certificato ci invita, per venerdì 24 e sabato 25 maggio, a recarci a Sofia presso la Cancelleria consolare per esprimere il nostro voto. E' la ripetizione esatta di quanto è già avvenuto nel 2014. Questa volta, però, non telefonerò per chiedere conferma.
Ripeto: posso essere perplesso? Le ragioni di questa mia perplessità sono molteplici, ma la prima che mi è venuta in mente è stata la solita: “Perché non vogliono farci votare?”. Perché solo per le elezioni europee ci costringono a non votare? Chi detta queste regole sul modo di votare per i residenti all’estero? Se vengono dai nostri governanti sono regole contorte e cervellotiche, se vengono dall’Europa e l’Italia le accetta è solo perché in quel consesso, evidentemente, contiamo quanto il due di coppe quando regna spade.
Non so le situazioni nelle varie nazioni dove risiedano italiani, né quale età abbiano, né se siano operatori commerciali o pensionati. Io guardo il mio piccolo orticello da pensionato, che in verità poi tanto piccolo non è, vedo le cose sotto questa veste, e credo sia molto difficile pensare che in Bulgaria si possa arrivare a una percentuale benché minima di votanti, rendendo anche penosa e umiliante l’apertura del Consolato e degli addetti per poter permettere la votazione a quattro gatti. Perché questa sarà la percentuale, raggiunta soprattutto grazie ai residenti nella capitale Sofia, che possono anche permettersi di andare a votare alla stregua di una passeggiata in centro.
Anche noi a Pazardjik, a dire il vero, andare a votare potremmo considerarla una gita estemporanea fuori porta, ma noi distiamo solo 100 km. di autostrada da Sofia. Pensate invece a chi dovrebbe (dico dovrebbe e non dovrà) sobbarcarsi un viaggio di 500 km. da Varna o 400 da Burgas o 150 da Plovdiv, per non dire di 300 o 280 e così via di altre città dove siamo residenti, che sono solo quelli di andata e poi ci sarebbe il ritorno, oppure – se un anziano minimo 70enne non se la sente – prenota in un albergo e riparte il giorno dopo. Questo viaggio, naturalmente, fatto in auto su strade bulgare (non me ne vogliano gli amici bulgari), oppure in treno o in pullman, come fosse una gita goliardica. E non voglio neanche parlare dei costi di viaggio, tutti a carico del ricco pensionato esiliatosi in Bulgaria, che vorrebbe cambiare questo nostro continente
Ve la immaginate una scena del genere? A me disgusta solo pensarlo. Ognuno, poi, trarrà le proprie conclusioni, ma di certo questa non è la premessa per creare quell’Europa solidale e unita che tutti i politici di qualsiasi colore sbandierano.
E’ rimasto qualcuno con un po’ di sale in zucca? Esca fuori e ci dica per quale motivo non vogliono farci partecipare alla costruzione di questa Europa che è anche nostra. Io intanto continuo a protestare, sperando che alla lunga questa mia protesta abbia un seguito e un risultato positivo. E continuo a gridare:
PERCHE' NON VOLETE FARCI VOTARE?

venerdì 15 febbraio 2019

A proposito di rientro agevolato al 7%

Abbiamo sentito tutti la proposta che il governo Di Maio-Salvini ha messo sul tavolo – rivolta ai pensionati italiani che sono fuggiti all’estero – per invogliarli al rientro in patria a condizioni molto vantaggiose, o almeno così pensa chi ha avuto questa idea. Per sintetizzare, tasse al 7% per 5 anni, a pensionati che risiedano all’estero da almeno 5 anni, confinati in meravigliose regioni del sud, in località o paesi che non abbiano più di 20.000 abitanti. Sinceramente, quando ho sentito i preliminari della proposta, ho pensato: “Meno male, qualcuno finalmente si è accorto anche di noi e se ne fa carico, offrendoci in cambio un’alternativa”. 

Quando ho letto tutto sono scoppiato in una irrefrenabile risata, e ridevo… ridevo… ridevo… Non c’era niente da ridere, tutt’altro, ma qualche volta succede… Passati 5 anni, poi, cosa succede? Rientriamo nel novero degli italiani nullatenenti? No, non c’è problema, pensano a largo Chigi, dopo i cinque anni è difficile sopravvivere, il problema si risolve da sé. Non ho niente contro questo governo, penso di essere diventato agnostico, anche se una speranza flebile ancora mi rimane e mi dico: ne abbiamo provati tanti che ci hanno portati al baratro, perché non provare anche questo? Peggio di così non potrebbe andare. E continuo a sperare. 

Però, una soddisfazione vorrei togliermela: invitare in Bulgaria il senatore Alberto Bagnai, che ha avuto questa idea, portandola poi nella legge di bilancio 2019. Ho sempre sostenuto, ogni volta che mi è stato chiesto, che tornerei a piedi in Italia, ma alle stesse condizioni nelle quali mi trovo in Bulgaria. Mi piacerebbe accompagnarlo per fargli conoscere approfonditamente i luoghi, le persone, la società nella quale viviamo, quanto come e in che cosa spendiamo, le bollette che paghiamo, quanta delinquenza incontriamo o percepiamo, vorremmo che ci chiedesse se viviamo tranquilli o abbiamo problemi, se la sanità funziona, se siamo felici o meno… insomma informarsi del perché di questo inarrestabile flusso migratorio dei pensionati. Potrebbe così capire che quella proposta è semplicemente ridicola e che i risultati porteranno zero pensionati in rientro. 

Figuriamoci. Tornare in Italia, per noi pensionati, sarebbe un sogno. Io, poi, sono nato in Sicilia, quindi ritornare nei luoghi natii sarebbe un meraviglioso ritorno alle origini. In Italia abbiamo lasciato figli, parenti, amici. Siamo tutti anziani, abbiamo sovente – purtroppo – bisogno o dell’ospedale o del medico di famiglia o delle medicine, quindi un piccolo, tranquillo, ridente paesino (come si diceva una volta) è la medicina adatta alla nostra età; poi nel sud non dobbiamo soffrire il freddo della Bulgaria (in verità, in quasi tredici anni ne ho sofferto molto poco), le spese per mangiare sono molto limitate, anche perché alla nostra età bisogna mangiare poco. Idealno, direbbero i bulgari. 

Purtroppo, disgraziatamente, mi capita di vedere giornalmente la televisione italiana e i gabbasisi mi cascano per terra. Negli ospedali (i pochi rimasti), soprattutto al sud, si muore al pronto soccorso aspettando che qualcuno ti visiti; se poi trovi questo qualcuno e hai dei forti dolori addominali, con una pasticca ti rimanda a casa e dopo otto ore ti riportano in ospedale, purtroppo morto prima dell’arrivo. Il ridente paesino di una volta è diventato un paese incazzato nero perché infestato da delinquenti, spacciatori e cosiddetti “migranti” che bighellonano tutto il giorno alle nostre spalle. Poi, sempre nel ridente paesino di una volta quando le stagioni si rispettavano, arriva una pioggia torrenziale che scassa le case e ammazza i paesani perché il fiume è esondato. Poi arriva la luce e l’acqua da pagare e ti si rizzano i pochi capelli rimasti… 20 euro di consumi e 25 di tasse (è solo un esempio, ma è così). Ma non finisce qui, perché resta da pagare la “monnezza” anche se nessuno pulisce, perché il Comune – giustamente – si regge sulle tasse applicate ai cittadini. Se vuoi fare una passeggiata devi guardarti bene in giro ché non ti diano una botta in testa quando va bene per toglierti anche 10 euro. E poi, e poi, e poi… i poi che ti fanno desistere sono tanti e passa la voglia di continuare. 

La ciliegina sulla torta la mette mio figlio. Gli telefono per sapere come stanno, lui la moglie e mio nipote. “A papà, lascia sta’… qui nun ce se fa più… se potessi scapperei di corsa. Qui hai il dovere solo di pagare pagare pagare, è San Paghino tutti i giorni, ma per incassare un lavoro che hai fatto bisogna andare ad elemosinarlo. Non è possibile, lasciamo sta’...”. 

Che dire? Piango per la condizione dei miei figli e mi vergogno un po’, perché io almeno ho avuto la fortuna, da pensionato, di poter scappare da un inferno che sembra non doversi spegnere mai, ma loro – e con loro tanti altri più giovani – dovranno ancora lavorare e soffrire, sempre che il lavoro riescano a trovarlo e riescano poi a prendere una pensione. 

All’Italia e agli italiani auguro tutto il bene possibile, perché sono la mia Patria e i miei connazionali, ma l’Italia potrà rialzarsi soltanto quando al bambino appena nato si insegnerà a pensare prima di ogni cosa al bene comune e poi a se stessi. Ma questa è utopia, ne sono convinto anch’io. Il nostro malessere è dovuto al 50% a noi italiani e all’Europa tecnocrate per l’altro 50%… non possiamo nascondere la testa sotto la sabbia. 

No, caro governo… non mi interessa la tua offerta, e penso non interessi ad alcuno di noi. Non sappiamo ancora quanti anni ci rimangono da vivere, ma almeno – pur lontani dall’Italia – fateceli vivere in santa pace. 

Io ho un’idea per farci tornare in Italia. E’ un progetto che si chiama “Retired City”. Lo dico in inglese perché oggi, impastati come siamo di parole straniere, che l’Europa economico-politichese ci propina per non farci capire niente, può darsi diventi un progetto che la stessa Europa potrebbe finanziare. In parole povere gli italiani la chiamerebbero “Città dei pensionati”. Venga a trovarmi, senatore Bagnai… io alla mia età viaggio poco. Le illustrerò il progetto e chissà che da una chiacchierata non si riescano a salvare capra e cavoli a costo quasi-zero per l’Italia. Se vuole può anche farlo suo chiamandolo “Progetto Bagnai”.