martedì 3 luglio 2018

Una vacanza a Pazardjik

Ci conoscevamo da 35 anni ma da 25 ci eravamo persi di vista. Succede nella vita di ognuno di noi di prendere un percorso dissimile da quello di un amico o di un’amica, ed è stato così che le nostre strade si sono divise e non ci siamo più incontrati. Poi un giorno, inaspettatamente, ci siamo ritrovati su un “social” e abbiamo ripercorso insieme quei 25 anni che mancavano alla nostra vecchia amicizia.
Quante cose possono accadere in un quarto di secolo! E noi, poco alla volta, ce le siamo ripassate tutte. Periodi e momenti felici della nostra vita e periodi e momenti tristi o addirittura tragici, decisioni che hanno cambiato il nostro quotidiano e hanno sballottato le nostre vite in esperienze impreviste e imprevedibili, partendo da Roma per poi attraversare varie città italiane, Stati Uniti e Bulgaria.
Venne spontaneo il mio invito a trascorrere una vacanza di un mese a Pazardjik, mia ospite in una casa che per me era diventata troppo grande e soprattutto troppo muta. In 30 giorni avremmo potuto fare qualche gita, per farle conoscere quel che di bello si trova anche in Bulgaria, con il tempo necessario al ripasso e alle novità che ci saremmo scambiati in quei venticinque anni di non frequentazione, quando ancora eravamo lei giovane e io quasi.
Il 4 maggio, giorno del suo compleanno, attendo a Sofia l’arrivo del suo aereo. Cerco di immaginare quanto fossimo cambiati dopo tanti anni, io passato dalla taglia 48 alla 56, capelli radi e molte rughe… ma lei? come sarà oggi? l’ho lasciata molto bella con una linea perfetta, speriamo bene! Poi dalla porta scorrevole, insieme ad altri passeggeri, la riconosco… affannata e bianca in viso, con un trolley e un valigione pesantissimo. Sta male, penso sia stato il viaggio. Dopo i convenevoli, si sale in macchina e si parte per Pazardjik. Durante il viaggio si riprende un po’ e tutto sembra passato, domani ritornerà in ottima forma… almeno, così pensavo…
Il mattino seguente busso alla sua camera e sento una vocina… entro, rannicchiata sotto tre coperte vedo solo i capelli, febbre a 39 e tanto tanto freddo. Il medico che la visita la fa ricoverare in ospedale per una bella polmonite, qui vi resterà per undici giorni, fin quando il peggio sarà passato e potrà continuare a curarsi, molto più confortevolmente, a casa. Ecco, in sintesi, la vacanza della mia amica a Pazardjik. I giorni successivi trascorsi a casa o quasi per recuperare le forze, il tempo per una gita-ringraziamento al monastero Hristova Gorà, dove viene conservato un pezzetto di legno della croce di Cristo, una gita fuggevole a Plovdiv sotto la pioggia e poi il 3 giugno partenza per Roma. Mentre ci salutiamo mi dà un foglio di carta, dicendomi: “Ho voluto scrivere l’esperienza vissuta in ospedale, se vuoi un giorno puoi pubblicarla sul tuo blog. In ogni caso ringrazio di cuore i medici che mi hanno avuto in cura, sono stati bravi”.
Oggi che tutto è finito nel migliore dei modi voglio accontentarla e  di seguito ne riporto il testo. Penso sia per lei un ricordo indelebile della sua vacanza a Pazardjik.

""""" Questa è la storia-favola del mio passaggio nel Grande Ospedale di Pazardzik.
Mi hanno appesa all'albero delle flebo e c'erano fate buone e fate nere come la pece, vestite di bianco per confondersi con quelle buone, ma si vedeva da lontano la loro oscura ombra...
Poi c'era anche qualche mago di passaggio con occhi scrutatori da uccello di preda, io ero nelle loro mani con tutta me stessa, fatta a pezzi da una grave malattia e loro, con le conoscenze che avevano, provavano a mettere i miei pezzi insieme e riportarmi nel mondo umano, come avrebbe fatto Orfeo con Euridice... dalla quasi morte alla vita!
Una notte di pioggia e fulmini e tuoni ho visto dalla finestra, respirando l'aria benefica della tempesta, lo Spirito del parco che circondava l'ospedale... mi sembrò un samurai gigante con armatura verde blu. Gli chiesi di darmi forza e speranza, di tenere il male lontano da me con la sua potenza, e pensai dentro di me che l'avrebbe fatto: era Il Signore del luogo e nessun altro!
Come Euridice, ero ancora nell'Ade e non sapevo quando avrei visto la luce. Dormivo molto e sognavo molto.
Sognai che nuotavo in una piscina piena d'acqua azzurra che mi arrivava fino al naso e davanti a me c'era una scatola con del fango nero e mi dicevo di non agitare l'acqua, altrimenti la roba nera mi avrebbe uccisa. Mi attraeva come il canto di una sirena, ma non mi sono avvicinata...
Il sogno mi diceva che ero, come Euridice, ancora nell'Ade, senza sapere quando avrei rivisto la luce, tra la vita e la morte e la morte mi attraeva, ma qualcosa dentro mi teneva a debita distanza per salvarmi.
Dormivo molto e sognavo molto.
Ho sognato decine di ragazzi biondi con gli occhi celesti, che animavano un drago di carta giallo oro con disegni geometrici in stile cinese, un drago di dimensioni colossali appiccicato nel cielo, che mi avrebbe donato il potere dalla forza dell'acqua di cui è simbolo. E decine di ragazze bionde con lunghe trecce che masticavano chicchi di grano simbolo di rinascita, di speranza e di futuro...
E io non sarei morta, non ero più Euridice, ero me stessa che uscivo con la forza del drago dorato e dei chicchi di grano dalla valle della non vita, adagio, con le braccia ancora attaccate all'albero delle flebo...
Un bel giorno, mi hanno staccato da quell'albero e mi hanno detto: vai nel parco, c'è un sole dolce e piacevole. Io andai e cercai lo Spirito del parco, quel gigante samurai con l'armatura verde blu, ma non c'era più, al suo posto c’era un platano con un tronco grosso circondato da platani giovani e ignoranti. Ho ringraziato lo Spirito del luogo, ho ringraziato il sole e tutto ciò si chiama vita!
Ero tornata!!!  """""  (D. C.)



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