giovedì 18 agosto 2011

Di sanità bulgara si può sopravvivere?


E' la domanda che mi faccio da qualche giorno e alla quale, sinceramente, non so dare una risposta. Per me che vivo da cinque anni in questa meravigliosa terra, da molti italiani sconosciuta e spesso bistrattata, è un interrogativo doveroso e nello stesso tempo testimonianza diretta del sistema sanitario bulgaro visto con gli occhi di un italiano. Non da un osservatorio privilegiato, ma – avendo acquisito il diritto di accesso gratuito al servizio sanitario nazionale bulgaro – come un semplice cittadino comunitario in pensione.
Dalla mia piccola finestra di Pazardjik ho già avuto occasione di parlare della sanità in Bulgaria, anche a motivo dello stato del mio vecchio motore che sta perdendo qualche colpo. Dieci mesi fa, infatti, sono stato ricoverato per fare un po' di pulizia alla vescica, dove erano presenti delle cellule tumorali. Ho preso questa decisione guardando negli occhi il giovane medico del reparto di urologia del vecchio ospedale di Pazardjik, Dimitar Velev, che dopo avermi visitato mi ha assicurato che sarei guarito. Quasi tutti gli amici, bulgari compresi, mi consigliavano, infatti di andare a curarmi in Italia. Cinque mesi di controlli mensili a Plovdiv sono stati sempre negativi, poi la bestia è tornata e il bravo e simpatico dott. Velev mi ha spiegato che bisognava di nuovo intervenire, c'era solo da aspettare una ventina di giorni per l'arrivo del laser. Fatta la definitiva pulizia sono stato rinviato a Plovdiv al centro oncologico dell'Università San Giorgio, per iniziare la cura chemioterapica locale, ritenuta indispensabile alla completa guarigione.
Il problema più grave da affrontare, in Bulgaria, non è la malattia; ve n'è uno molto più grave, la burocrazia. Qui le cose semplici sembra vengano complicate ad arte per renderti difficile la vita. Tutto però viene superato dal sorriso e dalla gentilezza di medici e personale sanitario. Mi piace pensare che queste premure siano per tutti e non solo per me italiano bulgarizzato.
Per iniziare il ciclo di sei applicazioni settimanali bisogna prima passare al vaglio della “komisia”, fare un esame completo del sangue, superare la visita cardiologica, indi alla “reghistratura” dove, in un computer viene registrata la propria posizione. Qui inizia un piccolo calvario, perché io ho solo un nome mentre il computer bulgaro ne prevede due, allora decidiamo insieme che mi chiamo Antonio Antonio; il problema successivo è l'eghené, il codice fiscale assegnatomi in Bulgaria, che essendo differente da quello bulgaro, per motivi a me ignoti, impedisce al computer di passare alla casella successiva, e l'impiegata non sa come andare avanti perché è la prima volta che le succede... ogni volta la stessa storia, poi – finalmente – una soluzione compromissoria la trovano sempre.
Se poi, per ottenere le fiale (che consegnano al paziente per portarle a casa), prima ne danno per quattro applicazioni e quando sono finite, per avere le altre due bisogna ricominciare tutto daccapo come fosse la prima volta, vi lascio immaginare come dei poveri cristi, già sofferenti per la malattia, possano essere ridotti dalla burocrazia. Ritengo, in ogni caso, di essere un fortunato perché le applicazioni locali danno effetti collaterali molto più blandi di quelle endovena. Il medico che mi ha consegnato le ulteriori due applicazioni, infatti, occupava il suo posto in un angolo di un grande stanzone dove, su tre file, erano allineati una diecina di lettini su ognuno dei quali delle giovani persone sdraiate ricevevano, per flebo, la medicina adatta al loro caso. Visi sofferenti, un infinito pallore, teste calve, parenti accanto che cercano di dare conforto... uno spettacolo veramente triste...Quel luogo mi è rimasto impresso come la stanza del dolore.
La settimana scorsa ho finito il primo ciclo, tre mesi di riposo e poi si ricomincia, e poi, e poi... Non so di preciso cosa prevede, nello specifico, il protocollo. Seguirò passo passo il decorso sperando che tutto si risolva in maniera positiva. Per questo mi affido nelle mani di Dio, augurandomi che la burocrazia, che sta nelle mani degli uomini, non colpisca prima...
Un'amica bulgara finalmente fuga un dubbio che mi attanaglia da molto tempo. Ho spesso sentito dire da amici bulgari di aver pagato anche più di 1000 leva per far operare dei loro familiari. Non avendo io, finora, pagato quasi nulla per le mie permanenze e operazioni in ospedale, mi riusciva difficile comprendere perché i bulgari invece dovessero pagare. L'amica bulgara mi ha spiegato che per essere operati, se si è in regola, non si paga nulla, ma quelle somme attorno a mille leva si danno sottobanco al chirurgo che opera, perché qui i medici guadagnano molto poco (attorno ai 700 leva, 350 euro mensili) e dare una mancia è praticamente prassi normale perché il medico operi al più presto e si interessi in modo appropriato del paziente sottoposto all'operazione. Non so se l'informazione sia vera, io la riporto così come mi è stata riferita. Un modo come un altro per autoraccomandarsi, succede ovunque.


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4 commenti:

  1. di soldi ce ne saranno sempre ...pensa alla salute e
    in bocca al lupo|
    Fiore

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  2. dalla mia piccolissima esperienza!! la cosa più importante è trovare persone che fanno il loro lavoro con serietà,non credo che i medici italiani siano migliori di quelli bulgari,o la burocrazia per un bulgaro in italia sia più comprensibile,Antonio ti auguro una pronta guarigione,forse l'anno prossimo ci possiamo incontrare a Pazardijk,ciao Carmelo C.

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  3. Italiani o Bulgari, quello che si evince leggendoti è che hai una forza poco comune.. complimenti Antonio, e vinci tu, contro la malattia!

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  4. un'amica bulgara a Napoli si ruppe una polso e nell'ospedale non si riusciva a trovare il suo none nel computer ........ che odissea. Mi disse -"se .... la sanità Italiana è tutta così, siete messi più male della Bulgaria" -

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